Gli assiomi del montaggio per la resistenza contro il cambiamento
Quando
rileggo “il discorso della montagna” un brivido mi scende dalla
schiena. Un passo diceva “beato chi ha fame e sete di giustizia
perché sarà saziato”.
Nel
mare di urla miste a delusione, la necessità di trovare un
colpevole , di alzare il dito contro il destino, ti fa ambire alla
violenza come strumento catartico.
Tuttavia
liberarsi della rabbia che cova, non ti fa giustificare la
disperazione più totalizzante, anche quando al posto di Caino
ti sei sorpreso di averci trovato Abele. Trovare le ragioni serve a
mitigare, conoscere e a malgiustificare. Quando le azioni hanno
cause tanto umane, quanto esiti vessatori, allora il componimento
degli eventi e gli inguaribili effetti delle azioni risulterà
condizionante.
Perché
il più grande strumento di comunicazione capace ancora di
emozionare più dell’amore rimane la violenza.
Dopo
la drammatica sparatoria davanti al Palazzo del potere, mi sovvengono
maliziose congetture sugli effetti che tale frastuono avrà.
Ed
una domanda diviene ineluttabile. Era prevedibile tanto clamore? Era
un dramma umano o il teatro dell’esasperazione disperata di chi
colpisce e di chi viene ferito a seminare l’antidoto per
depotenziare la domanda di cambiamento?
Un
uomo solo può spostare le montagne, ma la premeditazione
potrebbe esser indotta da “energie” che offuscano la ragione.
Perché la percezione degli effetti inizia a far spargere la
paura e di fronte al panico di un salto della violenza, la sensazione
dell’affamato di giustizia scambiata per vendetta è quella
di mantenere cara la pelle facendo assestare le possibili azioni
spropositate degli altri.
Tuttavia
proprio da queste riflessioni, quel flusso di urla verso il
cambiamento, lo si modera verso la presumibile civilizzazione, con
l’effetto di non scalfire se non apparentemente il sistema.
Il
partito giallo è una soluzione ai dolori della pancia, per
agitare le acque e mostrare, “macchianare”, montare l’inerzia
o gli effetti nefasti della presenza in Parlamento della domanda di
cambiamento, per ritornare esattamente lì dove si aveva la
presunzione di essersi faticosamente o frettolosamente allontanati.
Perché
le parolacce usate liberamente nei discorsi, sono così
purificatorie contro le frustrazioni minime o incalcolabili che la
convivenza con la civiltà, ci costringe ad ingerire. Tuttavia
il vantaggio del numero è inequivocabile, se chi è
responsabile del potere lo guida nel beneficio di chi è
amministrato.
Perché
il cambiamento si deve compiere, e le resistenze seminate per
garantire il congelamento di meccanismi difettati e narcotizzanti
nelle coscienze non può che portare alla regressione.
Oppure
ad un rabbia che cumulata, esploderà esponenzialmente prima in
violenza verbale, poi in quella fisica ed infine nell’ultima ed
irreversibile: quella sistemica.
Allora
abbandonate il timone se l’unica soluzione che troverete sarà
quella di rigenerarvi per non trovare soluzioni al cambiamento.
Perché i più deboli si difenderanno.