giovedì 5 aprile 2012

La ricerca di un nuovo male dopo la fine delle contrapposizioni ideologiche

Su nuovi “casi espiatori”  per rinnovare le ragioni della violenza

 
Alle volte pensi che dalle parole, il narratore è un tuo alleato. Perché credi che ti sta spianando una via, che ti indurrà al vero o a quello che cerchi. Ti sbagli, perché proprio lì quando ti sei spogliato di ogni remora e proprio quando ti sei fidato, proprio lì, nel suo immenso sadismo, ti attende con un inaspettato agguato.
Ogni creazione è un racconto di un desiderio che si lancia avanti per mezzo di aspettative. Se quel desiderio lo si enarra con peccaminosa complicità, per suscitare sdegno, per aizzare la propaganda del malcontento, per eccitare il malessere bisognoso di uno sfogo e con chirurgici calcoli si fanno scoppiare i bubboni dell’antipolitica, con gli avvisi di garanzia sulla corruzione mentre le notizie e i doverosi montaggi vengono dosati per far crescere la voglia di autorità mascherata da autorevolezza,  allora un possibile fine disegno di macchinazioni distruttive, si insinua come necessario.
Era il 1929 e ci fu la Grande Depressione. Ecco la scrivo con le maiuscole, perché fu il primo evento realmente globale. Si diceva che Roosvelt  fosse stato un immenso politico. Vero, solo che dalla crisi di uscì con la guerra, con milioni di morti.
È solo questo il grande antidoto? È solo dalla distruzione completa che saremmo in grado di ricostruire? È solo dall’armare la rabbia e renderla capace di perdere la ragione e la misericordia che saremo capaci di ritrovare calcoli e equilibrio? Cosa spinge un uomo ad impugnare la futura possibilità di uccidere?
Mentre ci stanno strozzando siamo spogli di capri espiatori. Bin Laden è morto. Gheddafi è morto. Sarà la primavera e come direbbe Woody Allen, neanche io mi sento tanto bene. Eppure abbiamo tanto bisogno di trovarli questi “casi espiatori”, perché altrimenti quel malessere che abbiamo dentro ci asfissia trasformandosi in cancro. Per questo quel male ha bisogno di facce, di facce ad uso del malessere per giustificare nuove guerre  e vecchie gerarchie globali. Per nuove opportunità  in mercati da colonizzare.
Aumenta la tensione internazionale, India docet. Ottimo pretesto per nutrire i dubbi e far esplodere l’orgoglio nazionale.
O forse è solo la minaccia della fame che ci lascerebbe l’unico barlume di speranza rimasta a nutrire la possibilità d’un cambiamento. D’un miglioramento.
Perché la creatività diventa necessaria là dove c’è da costruire. Pure Hegel diceva che nella pace le società si rammolliscono, mentre in guerra la necessità di un comune nemico porta ad una doverosa concordia. Eppure le macchinazioni di marci sistemi vogliono solo demolire perché nulla cambi, perché il potere rimanga l’unico vero orgasmo rimasto a tenere appesi alle cravatte i parassiti rivestiti di pelle flaccida. Perché nulla cambi. Perché si possa continuare a succhiare il sangue alla povera gente.
La guerra ci sarà.
 Allora è da scegliere, contro chi si dovrà farla.
So che diranno di me che farnetico, che sono un fanatica, ma spero vivamente, come non mai, di avere torto.