lunedì 1 settembre 2014

Per chi rimane a mangiare spaghetti

Nei discorsi incrociati che inorridiscono la speranza verso il BelPaese, sento costante una locuzione verbale, per dar monito al continuo lamento dell'insoddisfazione.
- andiamo via dall'Italia – oppure – lì è meglio, si pagano meno tasse – oppure ancora - altrove funziona tutto meglio – ed infine – questo è un paese di ladri, puttane e corrotti, ci vorrebbe una rivoluzione -
Credo che se in Italia non c'è stata mai una rivoluzione è stato merito o colpa delle mamme. Sono state loro ad aver ammansito i propositi distruttivi dei figli, nella speranza di un buon domani. Con un semplice piatto di pasta, hanno narcotizzato le velleità dei bimbi arrabbiati. I carboidrati, riempino la pancia e fanno venire la sonnolenza.
Solo la fame guiderà la foga verso il cambiamento.
Ci sono dei dati oggettivi: disoccupazione giovanile altissima, livello della tassazione più elevato che in tutti i paese occidentali, alto livello della corruzione, basso livello dell'efficenza e della soddisfazione verso i servizi pubblici, spropositato livello degli stipendi dei dirigenti rispetto ad un salario medio basso, alto livello di evasione. A tutto ciò c'è da aggiungere il basso livello dell'educazione e del senso civico.
Allora cosa ci costringe a rimanere? La bellezza dei paesaggi, la ricchezza di storia, la nostalgia per il passato, o forse l'attaccamento al senso d'appartenenza? Ciance.
Forse solo quando gioca la Nazionale, tale livello s'alza, se non fosse che agli ulimi mondiali, la figura è stata tanto magra, da far scendere l' auto stima e il vacuo senso d'apparteneza verso il prossimo “condivisore di Stivale”. Allora andiamo via, affolliamo anche noi i barconi, ops! i treni, le auto e gli aerei per trovare nuove possibilità, nuova speranza in un futuro che qui ci appare tanto traditore.
Sapete cosa si fa per serrare le fila e rendere compatto il gruppo verso un obiettivo comune? Si semina paura, si cerca di identificare il male, per poter trovare qualcosa di comune da combattere: si sparge la consapevolezza di avere un nemico.
Ogni nemico ci migliora, ci costringe a ragionare sulle strategie da adottare, ci costringe a distinguere, tra amico e non. Così le energie si rincanalano verso quel vacuo senso d'appartenenza, fino a poco prima dissoltosi nello scontento. Ecco allora le televisioni piene di integralisti che tagliano le teste, che affondano le loro convinzioni contro qualcosa che inevitabilmente incide nel nostro timore dell'altro.
Eppure ci vorrebbe un occasione per ognuno, sapendo che chi si trova dall'altra parte della scrivania non ti sta rubando tempo e dignità. Abbiamo creato tante regole perchè gli italiani sono dei farlocconi irrispettosi, reverenti solo verso le clientele e le conventicole di potere. Ci vorrebbe la consapevolezza e la biunivoca fiducia verso lo sconosciuto. Un po' di buon senso e rispetto per l'altro di chi sta dietro la scrivania, ma anche un miglior livello di comprendonio di chi è dall'altra parte costituirebbero la più grande rivoluzione. Perchè chi non conosciamo dovrebbe essere il nostro miglior nemico, capace di farci trovare il senso del nostro tempo, fuori dall'obiettivo dell'agognato stipendio.
Per questo andiamo via, o smettiamola di lamentarci. Perchè, dopo esser partiti avendo la nostalgia di tornare, un giorno un viaggio sarà intarpreso per ritrovare intatta la tanto bistrattata casa che si è lasciata una vita prima.

lunedì 25 agosto 2014

Razzismo di specie, oppure homo omini lupus

In vacanza, è capitato anche a me di voler uscire dagli schemi, e per questo frotte di gente rituffata nel traffico di vicoli meno spessi, si permette almeno il lusso di mandare in vacanza cervello e buon senso.
Nel pieno d'una domenica d'estate è legittimo fermarsi sullla soglia della sera in uno dei tanti bar con tavolini all'aperto delle nostre magnifiche città italiane. Aperitivo è l'epiteto, aperitivo fa figo, come la voglia di tornare bambini tuffandosi nelle migliaia di possibilità unte, disponibili al palato croccante.
Eravamo lì, in attesa, ad un tavolo, in attesa di una sedia per un nostro amico appartenente alla razza umana. Di fronte a noi le passate vestigia di una mucca diventata borsa era scarsamente disponibile a mettersi a tracolla su di una normale spalliera. Era necessaria la seduta anche per quella possibile reincarnazione in altro essere vivente, così diceva il suo possessore dai lunghi capelli castani con una venatura di grigio.
Alla nostra sinistra campeggiava sulla sedia, con il muso sul tavolino di un delizioso civuaua, imboccato deliziosamente ad altezza uomo dal suo educato padrone, dai corti capelli con striature d'argento, sicuramente fine conoscitore di buona educazione e norme igeniche.
Ad un invito di poterci cortesemente dare la sedia per farci accomodare, per gli appartenenti alla specie bipeda, che della sedia facciamo filosofia, i cari possessori di aninali morti, o leccanti, aprivano le mani a reclamare i diritti delle creature. Dolci discepoli di San Francesco e del Dalai Lama.
Ci siamo alzati e abbiamo preferito fuggire di fronte a tanto rispettoso reclamo per la vita d'altre specie.
Mi sono chiesta se poi magari quelle belle facce di compassione sono le stesse che si mangiano una sana braciola davanti alla televisione, mentre i barconi di immigrati affondano nel Mediterraneo.
Eppure sono della specie bipeda, forse qualcosa in comune ce la dovremmo avere, almeno la compassione per il simile. Si, per la bestia simile.
Poi esclamano, pure, che c'è crisi e non c'è più posto per gli italiani, salvo nella cabina elettorale a mettere un solco convito sullla lega.
Ma si che c'entra, la disperazione merita un lungo cammino di redenzione. Prima di poter avere il posto del cane.