mercoledì 16 maggio 2012

Della morte del popolo

La trasfigurazione delle masse divenute pubblico


I filtri dai quali, forme e volti divengono familiari e capaci di rendersi catalizzatori di attenzioni, hanno reso la realtà una trasposizione del virtuale. Finta e montata, questa virtualità è diventata la rappresentazione di speranze e sogni, sino a risucchiare l’estremo desiderio di entrarci perché solo così si esiste realmente.
In questa corsa ad adattarsi per decodificare i linguaggi della propaganda sottile, in questo paradosso della comunicazione tra chi subisce l’ascolto e chi lo crea, non capisco neppure se le mie dita che ballano sulla tastiera per trasformarsi prima in lettere e poi in parole sono veramente avvelenate da quanto realmente mi circonda, piuttosto che da quello che virtualmente mi viene iniettato negli occhi.
Sono arrabbiata per quello che sento o per quello che dicono? O sono arrabbiata perché quello che sento, è quanto mi voglio far credere che sia la realtà? Si semina il dubbio e la falsa speranza di essere delle anime che se diventano corpi per mezzo di schermi, si moltiplicano nelle immagini che ci consentiranno di oltrepassare la barriera dell’immortalità attraverso il consenso. Più utile per questo il tacco a spillo, piuttosto che le mie parole mediate da bit. 
Allora se mi faccio ascoltare è solo perché quello che dico è quanto chi mi ascolta vuol sentire.
Solo che la passività del pubblico ha avvelenato la democrazia.
Forse non c’è stato mai il momento nel quale il popolo ha avuto consapevolezza di sé. Forse è potuto accadere quando si è (in)formato e non è stato veicolato alla formazione di una presunzione di consapevolezza.
Il paradosso è che l’interattività ci permette di avere più informazioni, ma non ci dà la capacità avere dialogo e sintesi. Perché non ci si ascolta.
Adesso il popolo internauta sproloquia sui social network tutto il suo dissenso, incapace di trovare soluzione condivise. Siamo persone sole davanti ad uno schermo, con l’illusione che qualcuno dall’altra parte ci ascolti. Forse siamo arrabbiati proprio per questo, perché ci hanno polverizzato la nostra unione dandoci l’illusione di essere una massa corpi che si muovo dietro i byte. Ma dietro quei byte ci sono dita posti su corpi seduti.
Intanto il popolo televisivo, veicolato in pubblico passivo, incapace di sproloquiare contro i manipolatori, viene armeggiato a vessillo della democrazia.
Ed io per avere l’illusione di essere ascoltata ho creato un blog dove mi riverso addosso la mia rabbia.