lunedì 6 maggio 2013

Il partito giallo

 Gli assiomi del montaggio per la resistenza contro il cambiamento

Quando rileggo “il discorso della montagna” un brivido mi scende dalla schiena. Un passo diceva “beato chi ha fame e sete di giustizia perché sarà saziato”.
Nel mare di urla miste a delusione, la necessità di trovare un colpevole , di alzare il dito contro il destino, ti fa ambire alla violenza come strumento catartico.
Tuttavia liberarsi della rabbia che cova, non ti fa giustificare la disperazione più totalizzante, anche quando al posto di Caino ti sei sorpreso di averci trovato Abele. Trovare le ragioni serve a mitigare, conoscere e a malgiustificare. Quando le azioni hanno cause tanto umane, quanto esiti vessatori, allora il componimento degli eventi e gli inguaribili effetti delle azioni risulterà condizionante.
Perché il più grande strumento di comunicazione capace ancora di emozionare più dell’amore rimane la violenza.
Dopo la drammatica sparatoria davanti al Palazzo del potere, mi sovvengono maliziose congetture sugli effetti che tale frastuono avrà.
Ed una domanda diviene ineluttabile. Era prevedibile tanto clamore? Era un dramma umano o il teatro dell’esasperazione disperata di chi colpisce e di chi viene ferito a seminare l’antidoto per depotenziare la domanda di cambiamento?
Un uomo solo può spostare le montagne, ma la premeditazione potrebbe esser indotta da “energie” che offuscano la ragione. Perché la percezione degli effetti inizia a far spargere la paura e di fronte al panico di un salto della violenza, la sensazione dell’affamato di giustizia scambiata per vendetta è quella di mantenere cara la pelle facendo assestare le possibili azioni spropositate degli altri.
Tuttavia proprio da queste riflessioni, quel flusso di urla verso il cambiamento, lo si modera verso la presumibile civilizzazione, con l’effetto di non scalfire se non apparentemente il sistema.
Il partito giallo è una soluzione ai dolori della pancia, per agitare le acque e mostrare, “macchianare”, montare l’inerzia o gli effetti nefasti della presenza in Parlamento della domanda di cambiamento, per ritornare esattamente lì dove si aveva la presunzione di essersi faticosamente o frettolosamente allontanati.
Perché le parolacce usate liberamente nei discorsi, sono così purificatorie contro le frustrazioni minime o incalcolabili che la convivenza con la civiltà, ci costringe ad ingerire. Tuttavia il vantaggio del numero è inequivocabile, se chi è responsabile del potere lo guida nel beneficio di chi è amministrato.
Perché il cambiamento si deve compiere, e le resistenze seminate per garantire il congelamento di meccanismi difettati e narcotizzanti nelle coscienze non può che portare alla regressione.
Oppure ad un rabbia che cumulata, esploderà esponenzialmente prima in violenza verbale, poi in quella fisica ed infine nell’ultima ed irreversibile: quella sistemica.
Allora abbandonate il timone se l’unica soluzione che troverete sarà quella di rigenerarvi per non trovare soluzioni al cambiamento. Perché i più deboli si difenderanno.

martedì 26 febbraio 2013

Rivoluzione Y


Per un Paese di bugiardi che vuole ritrovare la speranza

Mi sono addormentata con le ultime due parole, sempre affibbiate in diverso modo nella convulsa giornata dello scrutinio: primo partito.
Ma M5 non è un partito.
Era divertente ascoltare i maghi delle previsioni accigliati nell'incapacità di decodificare il cambiamento, di volere resistere,. Perché adesso si deve scendere dalle torri crollate sotto i colpi del consenso, covato nel profondo desiderio di distruzione. Non c'è peggior sordo disperato di chi fa il conduttore televisivo. Stamattina, poi, passando davanti ad un seggio elettorale, su di un unico manifesto di simboli e candidati, campeggiavano rabbiose scritte di differenti colori, solcate da diverse mani: tutte minacciose, per ribadire ai politici passati e futuri di scendere tra la gente.
Adesso che si tenterà di scalare il monte dei vincitori nel tentativo di narcotizzare il cambiamento, verranno studiati fantomatici machiavellismi e strategie per proporre un'escursione nell'immaginario collettivo.
Se questo non sarà sufficiente semineranno la paura, alla quale assoceranno parole come crisi, spread, competenza, generazione Y, e poi il ricatto, legato alla percezione di parole come Europa, futuro,  Grecia, populismo e fascismo.
Il prossimo passo forse potrebbe essere la legge elettorale, quella fantastica connessione che ha reso quest'onda ancora più distruttiva. Un precedente mi sovviene, la legge Acerbo del 1923, votata da tutti gli allora partititi presenti in Parlamento, per arginare il cambiamento nella presunzione di dare stabilità al governo, trasformandosi nello strumento di delegittimazione di una parte sola.
Una riflessione è certa: a questo Paese piace tanto il tele voto e aborre i secchioni oltre che alle facce da ben intenzionati. Questo Paese ha bisogno di filtri per sognare.
In questa vita siamo imprigionati in ruoli soffocanti, che proprio nella personificazione dell'isteria e dei sogni, trovano il proprio feticcio per gridare di esserci. È legittimo gridare, e dire basta quando, sulla propria pelle, urla la fame. Fame di giustizia sociale, fame contro i privilegi, fame di uguaglianza, fame d'aiuto.
Tuttavia fa bene svegliarsi e sentire che la fame si può tramutare in speranza condivisa.

Perché ne abbiamo tanto bisogno. Per arginare, anche solo la paura, di potersi imbattere, nella fame vera.

venerdì 25 gennaio 2013

Un’economia di relazioni

Se la condivisione del potere e del ricatto innesca la meccanica della connivenza

Davanti ad un mangiata ed ad una bevuta tutti sono amici. Più si mangia e si beve, e tanto più si vuol ripetere ininterrottamente il rituale dell’abbuffarsi. Anche a discapito della fame degli altri. Anzi forse l’appetito diventa più gustoso a discapito degli altri.
Basta fare un po’ di beneficenza pubblica e la coscienza dei benpensanti è sterilizzata come un pannolino in stoffa d’un bebè. Nella legge anticorruzione doveva emergere il reato di traffico di influenza.
Diceva un vecchio servitore dello Stato capace di superare indenne tutte le repubbliche che “il potere logora chi non ce l’ha”, memore dei cari vecchi insegnamenti che hanno recato sfregio al suo ultimo desiderio irrealizzato di diventare Presidente della Repubblica.
Quando il potere si misura in voti e per moltiplicare il consenso diventa necessario interfacciarsi con gruppi di potere è facile correre il rischio di macchiarsi inseguendo l’ambizione di essere legittimati dalla fame dei numeri. Perché in questa sequela di periodi, temporali e letterari, finirò con l’esser tacciata di essere poco democratica.
La macchina è in corsa e per raggiungere l’obiettivo diventa saggio scambiare la propria differente faciloneria, perché legittimati dalle proprie irresponsabilità. Perché per avere, a qualcuno bisognerà pure togliere e se in fondo è così poco, nessuno se ne accorgerà.
Adesso tuttavia a colpi di crisi e spread, stanno pesando in maniera soffocante i passati micro prelievi nella fiducia e nella decenza.
La libertà si manifesta nello scegliere ed esercitare il potere, che dovrebbe essere l’atto di responsabilità verso chi è governato. Quando i potenti iniziano a svestirsi del ruolo di responsabilità assegnatogli perché altri membri, con un ruolo dettato da un sistema dove il denaro, le lobbie e i ricatti sono gli unici mezzi capaci ungere i meccanismi cigolanti della lentezza burocratica e della legalità, allora lo scambio ed il favore diviene l’unica comunicazione possibile tra gruppi aventi interessi incidenti.
In un periodo di crisi lavorativa, quando le richieste legittime di aiuto divengono esponenziali, il tasso di ricattabilità e connivenza di tutti i membri diviene maggiore.
Mentre la ruota gira, qualcuno che ne rimane fuori senza ammortizzatori relazionali è costretto a lasciare questo bel paese.
Qual è il valore di ogni singola azione, se poi genera interessi per pochi e debiti per tutti gli altri?
Perché a breve anch’io mi relazionerò in vendita, sotto la minaccia della fame.