martedì 26 febbraio 2013

Rivoluzione Y


Per un Paese di bugiardi che vuole ritrovare la speranza

Mi sono addormentata con le ultime due parole, sempre affibbiate in diverso modo nella convulsa giornata dello scrutinio: primo partito.
Ma M5 non è un partito.
Era divertente ascoltare i maghi delle previsioni accigliati nell'incapacità di decodificare il cambiamento, di volere resistere,. Perché adesso si deve scendere dalle torri crollate sotto i colpi del consenso, covato nel profondo desiderio di distruzione. Non c'è peggior sordo disperato di chi fa il conduttore televisivo. Stamattina, poi, passando davanti ad un seggio elettorale, su di un unico manifesto di simboli e candidati, campeggiavano rabbiose scritte di differenti colori, solcate da diverse mani: tutte minacciose, per ribadire ai politici passati e futuri di scendere tra la gente.
Adesso che si tenterà di scalare il monte dei vincitori nel tentativo di narcotizzare il cambiamento, verranno studiati fantomatici machiavellismi e strategie per proporre un'escursione nell'immaginario collettivo.
Se questo non sarà sufficiente semineranno la paura, alla quale assoceranno parole come crisi, spread, competenza, generazione Y, e poi il ricatto, legato alla percezione di parole come Europa, futuro,  Grecia, populismo e fascismo.
Il prossimo passo forse potrebbe essere la legge elettorale, quella fantastica connessione che ha reso quest'onda ancora più distruttiva. Un precedente mi sovviene, la legge Acerbo del 1923, votata da tutti gli allora partititi presenti in Parlamento, per arginare il cambiamento nella presunzione di dare stabilità al governo, trasformandosi nello strumento di delegittimazione di una parte sola.
Una riflessione è certa: a questo Paese piace tanto il tele voto e aborre i secchioni oltre che alle facce da ben intenzionati. Questo Paese ha bisogno di filtri per sognare.
In questa vita siamo imprigionati in ruoli soffocanti, che proprio nella personificazione dell'isteria e dei sogni, trovano il proprio feticcio per gridare di esserci. È legittimo gridare, e dire basta quando, sulla propria pelle, urla la fame. Fame di giustizia sociale, fame contro i privilegi, fame di uguaglianza, fame d'aiuto.
Tuttavia fa bene svegliarsi e sentire che la fame si può tramutare in speranza condivisa.

Perché ne abbiamo tanto bisogno. Per arginare, anche solo la paura, di potersi imbattere, nella fame vera.

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