mercoledì 22 aprile 2015

Se Cristo rinascesse


Di Dalia Trisuilla

Se Cristo rinascesse sarebbe un immigrato su di un grande barcone in mezzo al mare, figlio di una madre violentata dai trafficanti di uomini senza l’intercessione dello Spirito Santo. Sarebbe un profugo appena nato, molto più probabilmente sarebbe una neonata strappata al freddo del mare che l’accoglierebbe rendendo dura e salata la sua pelle inerme.  Perché la sua pelle scura si strierebbe di bianco. Cristo si chiamerebbe Azzurra perché lì davanti agli occhi avrebbe cielo e il  mare sotto le braccia di culla per inculcargli l’eterna determinatezza nella precarietà. E so che avrebbe scelto di nascere apolide, in acque internazionali, senza nazione,  libera dal senso di appartenenza che ti spinge ad uccidere per paura di uno sconosciuto allo specchio.
Passata per i centri di identificazione, ecco,approderebbe nel paradosso di essere ingabbiata nella disperazione di non avere un’identità. Solo le impronte digitali definirebbe il limite e l’identità del suo corpicino. Le darebbero il luogo di nascita attraverso dei numeri, le coordinate del mare, per poi lasciarla al flusso del tempo che mai conviene. Lei sarebbe il mondo. Se poi nell’innata lotta della sopravvivenza riuscisse a crescere per trovare un postosu questa terra,un’opportunità si presenterebbe:magari proprio la strada le proporrebbe di diventare una puttana. Ed allora diverrebbe una creatura capace di fare miracoli perché appartenete all’umanità, perché dai suoi sorrisi spezzati sarebbe capaci di fare miracoli oltre i traumi della violenza, e della restrizione, per donarle la consapevolezza di dare, senza pretendere di ricevere. Perché il mare è lontano, ma il male e la paura sono vicino, dentro di noi,  bisognosi di colpe da scaricare e di dita da puntare.

Solo che se dovessero morire il terzo giorno non resusciterebbero.

lunedì 12 gennaio 2015

Diffidando degli assoluti


Di Dalia Trisullia


Diffido assolutamente di tutti gli assoluti. Perdonatemi l’assonanza di termini, ma diffido di quanti credono di possedere la verità, e per questo  presumono di poter agitar qualsiasi mezzo per imporre il proprio credo. Le ultime vicissitudini dell’integralismo hanno solcato inevitabilmente la nostra attenzione, ma senza rendermi ripetitiva, ripeto che continuo a diffidare degli assoluti.
Perchè altri assoluti dai quali diffido è la presunta possibilità di rendere illimitata la libertà di demolire qualsiasi cosa, idee, soprattutto se nell’appartenenza di altri. Siamo perfettibili, è legittimo il diritto di critica, la necessità di ascolto, dialogo per  migliorare, ma la libertà si fonda sull’unico limite del rispetto degli altri. Quando si toccano corde tanto delicate è presumibile aspettarsi una reazione, è inevitabile rimanere risucchiati nella paranoia del controllo.
Tuttavia la nostra cultura, ove il consenso è la faccia pervertita della democrazia, più si ha la capacità di condire l’attenzione sotto il sacro manto della libertà, agitando volgarità sotto il sensibile potere dell’inchiostro o il bruciante fuoco della polemica delle parole di talk show scadenti, e  più si moltiplica l’attenzione. L’attenzione significa comunicazione, significa esistere. E per esistere bisogna farsi consumare.
Di fronte alla morte nessuna parola può essere consolatoria. Tuttavia la morte è il più grande strumento di promozione: promozione della paura ad esempio. In Italia stanno già inasprendo le pene preventive per tutti coloro che saranno sospettati di terrorismo. Forse dopo quest’articolo, potrei dire di essere una candidata.
E la morte rende sensibili le corde del consumo. Ognuno infatti si chiede sotto l' assedio della paura: se in qualsiasi momento e per qualsiasi ragione posso venire a mancare, perché rinviare la gratificazione di un acquisto?
Dopo la morte di quei vignettisti, qualcuno godrà di tanta inevitabile e per molti versi non auspicata attenzione, ma una domanda mi viene da porvi:

quanti di voi hanno desiderato il prossimo numero di Charlie Hebdo?